2 agosto 1944 - Halifax II JP294 - Chioggia (VE)

Tratto da "Aerei perduti - Polesine 1943 /1945" di Elena Zauli delle Pietre - Editoriale Sometti - 2019

Spesso all’interno delle relazioni della GNR si trovano errori grossolani o di data o di descrizione dell’evento. Raramente troviamo una relazione conforme alla realtà. Non è nemmeno questa volta il caso. Se la data è in effetti corretta, l’errore sta nell’identificazione del velivolo: anzi, in questo caso gli errori palesi sono molteplici. In realtà, il bombardiere abbattuto era un Halifax, un bombardiere quadrimotore pesante della RAF e non un J.M. 65 Breda, aereo italiano d’attacco al suolo ad ala bassa e monomotore utilizzato principalmente dall’aviazione Legionaria in Spagna e dalla Regia Aeronautica nei primi anni della II Guerra Mondiale. Gli ultimi esemplari furono usati a consumazione nel nord africa nel 1941 e non risulta che eventuali esemplari catturati siano stati utilizzati dalla RAF o dall’Aeronautica cobelligerante. Solo pochi velivoli furono in seguito ricondizionati dalla Caproni come aerei d’addestramento nel bombardamento in picchiata (BA.65M).

Nonostante le palesi imprecisioni, il rapporto GNR comunque ci fornisce quelle informazioni di base che ci permettono di dare una collocazione geografica su dove precipitò, nella notte fra il 2 e il 3 agosto 1944, l’Halifax Mk II nr. JP294-b “B-Beer” del 148° Sqn. RAF.

La missione di questo quadrimotore era strettamente connessa alla funzione straordinaria che il 148° Sqn. svolse all’interno dello scenario bellico nel Mediterraneo. Infatti, dal marzo 1943, il 148° Squadron fu utilizzato come "Special Duties” ovvero col compito di effettuare aviolanci alle truppe partigiane operanti nei Balcani. Solamente dal gennaio del 1944 il 148° Squadron, trasferitosi in Puglia, oltre a fornire rifornimenti, fu impegnato anche nel lancio di paracadutisti ed agenti nell’Europa occupata. Le Special Duties, ovvero missioni speciali, erano collegate alle operazioni condotte oltre le linee nemiche da agenti dei servizi segreti britannici (SOE, ovvero Special Operation Esecutive) ed americani (OSS, ovvero Office of Strategic Services).

Giuliano Manzari, nel libro “I sommergibili italiani dal settembre 43 al settembre 45" spiega in modo estremamente chiaro in cosa consistevano tali missioni Special Duties: “Potevano essere di vario tipo: informativo, addestrativo (specie per l'impiego degli esplosivi in interruzioni stradali, ferroviarie o delle comunicazioni), di collegamento, ecc. L'esigenza del loro impiego era dettata dalla necessità di creare un'efficiente rete informativa nei territori occupati dai tedeschi: Italia centro-settentrionale, Iugoslavia, Grecia e Albania. Occorreva raccogliere informazioni sul nascente movimento resistenziale italiano; attuare il collegamento con le formazioni partigiane italiane, iugoslave e greche. Essenziali erano, dal punto di vista operativo, le notizie su consistenza, schieramento, dislocazione e spostamenti dei reparti tedeschi; altrettanto importanti erano le informazioni relative alle dislocazioni dei depositi carburanti e munizioni, dei parchi automobilistici, delle officine di riparazione, ecc. Tali informazioni dovevano essere comunicate, al più presto, ai Comandi operativi alleati, che le avrebbero sfruttate per le operazioni e per i piani di bombardamento aereo. Ogni "missione" era costituita da uno o due membri operativi (spesso reclutati fra il personale militare italiano, appositamente addestrati presso le scuole dei servizi segreti alleati, a Napoli, Monopoli o in Algeria) e da un operatore radiotelegrafista munito di apposito apparato radiotrasmittente. Molti degli operatori radiotelegrafisti di tali missioni appartenevano alla Marina. (…)Gli operatori erano indicati con il loro nome di battaglia, così come avveniva in genere per i partigiani per impedire rappresaglie verso le famiglie. A Brindisi il sommergibile trasportatore mollava l'ormeggio della Banchina sommergibili e si portava nell'avamporto dove imbarcava il personale e, eventualmente, il materiale da trasportare. Seguiva, quindi, la navigazione lungo la rotta prescritta dall'ordine di operazioni fino a giungere, dopo il tramonto, nel punto di previsto rilascio degli operatori. Attorno alla mezzanotte, il sommergibile emergeva, metteva a mare un battellino di gomma (in gergo "tacchino") sul quale imbarcavano i membri della missione, appositamente addestrati alla voga, a volte con un componente dell'equipaggio del sommergibile che riportava a bordo il battellino. A bordo del sommergibile era presente un ufficiale coordinatore (spesso per le missioni con operatori dipendenti dall'OSS fu utilizzato un sottufficiale che giungeva a bordo col grado funzionale di ufficiale). Gli operatori indossavano una cintura all'interno della quale vi erano parecchie decine di sterline d'oro. Uno dei compiti più apprezzati dalle formazioni partigiane presso cui le missioni speciali operavano era quello di poter richiedere lanci di rifornimento da parte degli aerei. Così giungevano armi, munizioni, esplosivi, ma anche denaro, medicinali, vestiario, viveri, ecc.”

Era proprio questo il compito affidato all’Halifax nr. JP194 del 148° Sqn RAF: il rifornimento di quanto serviva per il sostentamento alla guerra partigiana. Nello specifico, la missione “Supply drop” (lancio di rifornimento) che vedeva questo Halifax come protagonista era denominata “Pear 4”.

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La missione Pear (Piano Radio Argo)

Quando il sommergibile Platino partì da Taranto il 27 gennaio 1944 sotto il comando dal Ten. Vittorio Patrelli Campagnano aveva diverse missioni da svolgere sia in Italia che nei Balcani : in particolare, nella notte del 31 sul litorale tra il Po e Chioggia, a Cason Boccavecchia, doveva sbarcare due agenti della Regia Aeronautica: il capitano Bruno Rossoni, di Padova e il marconista Gaetano Veglia (ma probabilmente si tratta di uno pseudonimo), di Palermo. Essi erano incaricati di svolgere la missione PEAR (Piano Radio Argo) che avrebbe dovuto operare nel Veneto. Come prima cosa gli agenti avrebbero dovuto raggiungere separatamente Venezia, in una casa della Maddalena dove avrebbero avuto il primo contatto con le cellule partigiane locali. L’appuntamento avvenne come previsto 4 febbraio e i due agenti furono presentati al Comando militare provinciale per costituire il Gruppo Operativo dell’Operazione Argo. In casa Ferrari, a Santa Maria del Giglio, collocarono una ricetrasmittente, i cui fili si confondevano con quelli della biancheria , iniziando in tal modo la fase operativa della missione. Lo scopo primario era controllare “il traffico militare tedesco da e per la Germania sulle tre principali vie ferroviarie di comunicazione con l’Italia: Verona-Brennero, Mestre-Udine-Tarvisio, Mestre-Portogruaro-Trieste. Oltre a indicare gli obiettivi che le forze aeree alleate dovevano colpire, controllavano i risultati delle azioni. Le informazioni riguardarono ogni argomento d'interesse militare: numero e tipo delle locomotive, dei carri ferroviari, del materiale rotabile e fisso. Furono costituiti punti di controllo sulle grandi vie di comunicazione stradale con l’Austria (ponti di Vidor, della Priula, di Fagaré e di San Donà sul fiume Piave) e costantemente monitorato il traffico costiero e lagunare fra Grado e Chioggia, fino al Po.

(...)Le missioni si dedicarono anche a operazione che andavano oltre il loro compito informativo. Essendo in collegamento con le formazioni partigiane di montagna e ferroviarie, passarono loro ragguagli utili per effettuare azioni di sabotaggio o per organizzare movimenti di resistenza in Austria. Nonostante le trasmittenti presenti a Venezia, ed erano diverse, venissero spostate di continuo per essere meno facilmente identificate, nei primi giorni di agosto ’44, i continui movimenti di persone sospette in Calle degli Stagnetti, attirò l’attenzione dei tedeschi. Fiutando il pericolo, alcuni membri del Gruppo Operativo riuscirono in tempo a lasciare Venezia, mentre altri rimasero nella città lagunare. Tra essi Rossoni che, il 7 agosto si trovava a casa di Guido Dall’Agnol. Vi si era recato quella mattina stessa per far sparire le carte e la trasmittente, ma trovò che vi aveva già pensato la moglie di Dall’Agnol, Oliva. I militari della GNR, decisero comunque di fermare Rossoni e l’altro uomo presente in casa, Gastone Arni, in via precauzionale. “Allora Rossoni, certo che una volta arrestato l’avrebbero anche perquisito, tentò di ingoiare, credendosi non visto, un foglietto che aveva in tasca. Il foglietto non diceva granché, ma il gesto bastò a confermare i sospetti e a dare all’arresto precauzionale un ben diverso carattere” . Il capitano Rossoni fu dunque arrestato, torturato e portato in Germania, dove fu fucilato dai tedeschi.

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La caduta dell'Halifax

Unica testimonianza relativa alla caduta dell’Halifax è quella del signor Dino Pagano di Chioggia che racconta: “nella mia zona operava una brigata partigiana (…) L'unità, al pari di altre, fu rifornita da lanci di armi e materiali tra il 1944 e il 1943(…). Ebbene, [essa] ricevette un lancio in zona Zennare (località segnalata agli Alleati dai partigiani). Un lancio venne disperso in quanto l'aereo, in assenza di segnalazioni, era passato a quota molto bassa sganciando i bidoni in laguna e, giungendo sull'Adriatico pare all'altezza di Ca' Roman, venne fatto segno dalla reazione della contraerea che ne provocò l'abbattimento. Il velivolo cadde tra Chioggia e Ca' Roman. (…) ricordo che da bambino gli anziani raccontavano di quattro aviatori alleati ripescati dal mare dopo che, nel corso della notte, il loro aereo era stato abbattuto”..

La dinamica della descrizione fatta dal signor Pagano in qualche modo richiama le poche parole scritte nel rapporto Gnr: aereo molto basso finisce la sua corsa in acqua. I corpi, che la Guardia Nazionale Repubblicana non trova subito, sono in seguito rinvenuti da pescatori, probabilmente perché trascinati in mare dalla corrente. Comunque il fatto che tutti i corpi furono trovati rende probabile il fatto che effettivamente l’Halifax sia caduto in laguna tra Ca’ Roman e Chioggia e non in mare.

Nel diario operativo del 148° Sqn. RAF troviamo la descrizione della missione dei 9 bombardieri che nella notte tra il 2 e il 3 agosto decollarono intorno alle 20.30 dall’aeroporto di Brindisi:“9 aerei furono inviati sull’Italia e 4 di essi completarono con successo la missione. 1 aereo ebbe un target in Yugoslavia, un altro in Cecoslovacchia ed ha avuto successo sul primo punto, ma fu successivamente costretto a virare per tornare indietro a causa del cattivo tempo.1 aereo fu abbattuto vicino a Venezia; si crede che tutti i membri dell’equipaggio siano rimasti uccisi.

Si trattava di: W/O Kevin J. Bettles, Pilot (foto) - Sgt. James J. Birties, Air Gunner - F/Sgt. Wilfred Edmundson, Navigator - Sgt. Norman J. Hobbs, Fight Engineer - F/Sgt. William C. McIntosh, Air gunner - F/Sgt. Reginald J. Ward-Barrett, Bomb Airmen - F/Sgt Frank Wharam, Wireless Op/Air Gunner.

W/O Bettles aveva completato un giro di operazioni con il suo Squadron ed era a metà strada per completare il secondo. Il suo rendimento era stato costantemente buono e nel solo mese di luglio egli aveva completato con successo 13 missioni per un totale di 120 ore di volo operativo”.

I membri dell’equipaggio riposano al War Cemetery di Padova.

Aeroporto di Brindisi, estate 1944: un Halifax del 148° Sqn. RAF viene controllato prima del decollo. Notare i contenitori agganciati nella stiva bomba e nelle celle alari (IWM CNA 3231).

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